La parola è l’energia dell’uomo
La parola è l’energia dell’uomo, è l’energia che si rivela attraverso la persona:
questa energia non è semplicemente l’ oggetto della parola e nemmeno il suo contenuto; nella sua attività conoscitiva la parola porta lo spirito al di là dei confini della soggettività e lo collega con il mondo che si trova oltre i nostri stati psichici.
Nella parola il nesso tra l’essenza e l’energia non è separabile dall’atto stesso del pensare e del conoscere. Questa dottrina è presente in ogni tempo presso tutti i popoli ed è alla base di tutte le cosmogonie.
Nell’antichità questi due lati dell’essere erano chiamati sostanza o essenza (ousìa) e attività o energia (enérgeia) ; la loro unione non può essere pensata come una somma di attività o come un contatto meccanico, bensì come un compenetrarsi delle energie, (synérgeia) sinergia: che genera sempre qualcosa di nuovo.
Questa sinergia provoca una risonanza che porta in sé gli esseri che l’hanno prodotta. La risonanza è più di essi stessi : è contemporaneamente la causa che ha prodotto e sostiene il loro essere . Questo ci porta con sempre con Florenskij (1) a una definizione stupenda della Parola e del Simbolo:
“Una realtà che è più di se stessa. Esso è una entità che manifesta qualcosa che esso stesso non è, che è più grande e che però si rivela attraverso questo stesso simbolo nella sua essenza. Il simbolo è una realtà la cui energia, confluita insieme con un altro essere, più prezioso rispetto a lui, contiene in sé quest’ultimo.”
Troviamo conferma di tale legame tra parola e simbolo in H. U. Von Balthasar (2) :
“La paradossale sintesi di unione e differenziazione è il miracolo del linguaggio,…..poiché nel linguaggio l’uomo possiede le cose nella loro origine, nel loro essere…. Il potere espressivo della sua parola (dell’uomo ) è quello che gli da il dominio sulla natura e lo fa emergere come sovrano (Gn 2,19-20 )”
Proseguiamo la nostra riflessione con Attilio Mordini (3) :
Per quanto sfigurata dall’uso errato e deturpata a causa della caduta, la parola dell’uomo nella sua più intima essenza è divina; solo che questa divinità va sentita e gustata nella sapienza, nel sapore più intimo di ogni sillaba alla luce della rivelazione. Già i sapienti delle Upanishad cercavano il senso profondo delle parole nella relazione del suono di esse con l’essenza della cosa significata. Tali interpretazioni verbali erano all’apparenza dei giuochi di parole , e venivano chiamate nirukta. Il termine nirukta vuol dire spiegazione del senso occulto delle parole, di quanto non è detto esplicitamente, ma è presente in modo implicito nel senso delle parole. In un certo senso potremmo dire che se l’etimologia delle parole ne è la storia, il senso simbolico ne è l’anima. Nella tradizione indiana Krishna scende ad incarnarsi sulla terra per portare la salvezza agli uomini ; ma Krishna per gli stessi Brahmani, è un mito, un simbolo in cui d’altra parte, per noi, è profeticamente racchiuso il mistero dell’Incarnazione del Verbo. Così come, nella tradizione occidentale, Prometeo, che porta il fuoco della tradizione spirituale all’umanità, è anch’esso un mito. Non così Gesù Cristo : Egli è la Parola del Padre che si incarna misticamente in Noè, in Abramo, e nel popolo d’ Israele per Giacobbe, ma storicamente, unicamente ed universalmente nel grembo di Maria a Bethlem nell’anno 753 dell’era romana sotto Augusto. La Scrittura ebraico -cristiana è quindi l’unica che è al tempo stesso testo sacro ( mito-simbolo ) e testo storico. Secondo Origene: Il Verbo Increato e Incarnato è il Figlio che… prima di farsi persona umana si fa verbo grammatico nella scrittura. Se storia e contenuto spirituale sono per il cristiano una cosa sola nelle Scritture, ne consegue, necessariamente, che senso simbolico delle parole ed etimologia vengano quasi a coincidere. Se il Salvatore è Il Verbo , Egli è , in un certo senso, anche l’etimo degli etimi ed il Simbolo dei simboli, il senso che dà voce ad ogni parola, e quindi lo stesso linguaggio umano in sé non può ritenersi inventato dall’uomo.
Riprendiamo infine con Mordini la riflessione sull’impoverimento della parola e del linguaggio, interpretando uno dei molti significati all’episodio della Torre di Babele:
L’uomo pretendendo di essere auto-creatore del linguaggio causa la confusione delle lingue e la loro corruzione. Mordini ricorda un’ affermazione di Scoto Eriugena : il linguaggio umano si è reso quasi inefficace alla evocazione del reale. Il potere di evocare è stato perduto perché, considerandoci creatori del linguaggio come atto convenzionale , usiamo oramai le parole solo quali termini dialettici utili a determinare e definire cose e concetti. Qui la riflessione mordiniana assume termini assai simili a quelli usati dal Florenskij: malgrado ogni decadenza, tuttavia la parola umana non perde mai la sua potenza evocatrice : in realtà la parola in quanto Nome, prima di essere un termine , è un centro di energia; nominare una cosa è esprimerne l’essenza e solo secondariamente è determinare e distinguere una cosa dalle altre. Se il processo discorsivo consiste nell’uso dialettico della parola sul piano razionale , l’atto evocativo consiste nel pronunciare la parola come simbolo adeguato ed efficace ad esprimere l’intuizione che si manifesta sul piano sovra-razionale, ove soggetto ed oggetto si incontrano nell’atto della conoscenza, o meglio nell’atto i cui la conoscenza si fa superamento del processo discorsivo medesimo.
Il potente valore evocativo e con-creativo della parola in sé, fa sì che le parole vane ed oziose sono da considerarsi segni di dissipazione e di peccato di cui ci sarà chiesto conto.
Claudio Coen Belinfanti
1) Pavel Florenskij, Il valore magico della parola, Ed. Medusa , 2001, Milano
2) Hans Urs Von Balthasar , Il tutto nel frammento, Ed Jaca Book, 1990
3) Attilio Mordini, Verità del Linguaggio, Ed Volpe, 1974, Roma