A.Meluzzi “Educazione , profezia, mistero” Ed. OCD 2011 |
Saggio breve, di facile lettura, ma preziosissimo,
quello in cui Alessandro Meluzzi
affronta alcuni temi fondamentali offrendoci intuizioni e semi di riflessione in grado di mettere
in moto nel lettore un processo interiore.
È quel che è accaduto a me, insegnante ed
educatore lasalliano .
Nella prefazione, Roberto Fornara cita alcuni passi del Deuteronomio: Dio parla al
popolo d’Israele in termini d’educazione e di trasmissione (ovvero di
Tradizione).
Chiaro invito all’educatore ad interiorizzare,
nel Cuore, nel centro della Coscienza, una identità profonda per poter essere in
grado di trasmetterla.
Dovere fondamentale di un educatore è aiutare
i discenti a vedere tutte le cose in una dimensione “sacra”, disponendoli alla contemplazione della bellezza della
natura e dell’arte. Non è possibile bandire dal campo dell’ azione educativa i
domini del sacro, in quanto esso è
precisamente ciò che collega l’oggetto e il soggetto, il pensiero e
l’esperienza, trasgredendo le dualità, e tendendo quindi a una conoscenza
unitiva. (cap. ‘Educare i giovani all’alterità e al Mistero’).
Il filologo italiano Attilio Mordini ci
ricorda nelle sue opere che le origini della cultura risiedono nel culto. Adamo, ancora in stato di grazia, aveva da
coltivare l’Eden, e in tale atto Rito e opera sua s’identificavano; la
coltivazione si identificava con la cultura, e la cultura con il culto.
La sua religione era appunto la coltivazione
del Giardino, al cui centro sorge l’albero della Vita simbolo vivente della unità cosmo-teandrica, ci direbbe Raimondo
Panikkar, della persona umana. Dopo la colpa invece , Adamo ha
da coltivare ‘faticosamente’ e con sudore la terra ‘da cui è stato tratto’: culto, cultura e coltivazione divengono tre cose dolorosamente separate.
L’istruzione secolarizzata e convenzionale,è principalmente
volta ad addestrare l’individuo alla tecnica del guadagnarsi da vivere e
sfruttare il mondo e le sue risorse e mantiene
ben separati tra loro culto, cultura e lavoro. L’educazione tradizionale tende
invece ad unificare e addestrare l’individuo all’auto-realizzazione, ovvero alla
conoscenza di sé, all’arte del saper
vivere. Educare significa estrarre dal fondo dell’essere tutte le potenzialità
della natura presenti nell’immagine divina ch’è nell’uomo, favorendone la piena
fioritura.
Oggi, corsi e gli esami di abilitazione
all’insegnamento non si preoccupano di questa connessione concentrando le
proprie attenzioni, e quindi quelle dei candidati unicamente sulle specifiche
competenze, sulle tecniche didattiche, peraltro fondate su metodi discutibili,
derivati da impostazioni sociologiche e psicologiche di matrice storicistica e
materialista.
Da molto tempo ormai si considera l’istruzione
obbligatoria solo come mezzo di conoscenza dei meccanismi del mondo che ci circonda, finalizzata a raggiungere il
successo e l’integrazione all’interno di questo particolare modello di società: il metafisico francese René
Guénon, già a metà del secolo scorso, osava contestarla. Ma evidentemente, il cosiddetto
‘mondo libero’ non è così libero da riuscire a sfuggire all’obbligo di una
istruzione siffatta .
La cultura auditiva (Shema Israel – Ascolta
Israele!), l’insegnamento orale tradizionale e l’uso della memoria trovano,
man mano, sempre meno spazio nella pedagogia contemporanea.
La modernità ci impone e vuole l’immagine
ovunque: video musicali, pubblicità, telefonini, web-cams. La tecnologia
multimediale scolastica (LIM) rischia di privilegiare esclusivamente il canale
visivo, trascurando quello uditivo. Il linguaggio visivo è più superficiale ed
ingannevole, rispetto a quello auditivo che riesce ad andare maggiormente in
profondità.
La parodia del canale uditivo è oggi presente
- al di là della sistematica diffusione (in metro/bus/treno) di musica
commerciale di bassa lega - nelle moderne tecniche di apprendimento delle
lingue straniere, in cui la memorizzazione automatica di funzioni comunicative
standard, attraverso tecniche simili all’ipnopedia, fanno pensare a scenari da
1984 di Orwell, in cui la comunicazione non è più basata sulla comprensione di
contenuti, ma su una diretta formulazione di suoni a cui e da cui si è istruiti e condizionati.
I filosofi del passato invece insegnavano soprattutto
col dialogo (Socrate, Platone), la scrittura infatti non può sostituire l’oralità
dialettica, in quanto il Filosofo deve poter comunicare il suo messaggio direttamente
ai cuori e alle menti, non scrivendolo e
cristallizzandolo su rotoli di carta, bensì dinamicamente dialogando con uomini
liberi. La scrittura, da alcuni secoli fondamentale mezzo di diffusione
culturale, nonché utile strumento didattico, non aveva in passato le medesima
valenza ed importanza che ha oggi e, come sottolinea causticamente Ananda Coomaraswamy, non inquinava
ancora l’anima umana e la sua capacità, ancora intatta, d’anamnesi del Sacro.
La trasmissione orale, l’insegnamento come trasmissione spirituale necessitano di attenzione, di presenza, di sacrificio.
In noi, però, c’è un qualcosa che ostacola e
a cui ripugna la vera attenzione. Questo qualcosa è molto vicino al mistero del
male. Ecco perché ogni volta che si presta veramente attenzione si distrugge un
po’ di male in se stessi. Non solo l’amore di Dio ha per sostanza l’attenzione, della stessa sostanza è
fatto l’amore per il prossimo: uno sguardo attento, con il quale ci si svuota
completamente di sè per accogliere la
persona che si sta guardando così com’è, in tutta la sua verità. Di un simile
sguardo è capace solo colui che sa prestare attenzione.
L’Educatore
come Profeta:
rischiosa e provocatoria proposta, quella di Meluzzi, in questa epoca di falsi profeti,
ma decisamente necessaria in questa
nostra epoca confusa. La maieutica non
basta, è necessaria anche una funzione profetica, e quindi di vocazione, di
missione, da parte dell’educatore.
Il
profeta è colui che testimonia a nome di Dio, non solo a parole ma anche con le
proprie opere: il profeta educatore è inevitabilmente un “santo”, quantomeno nella sua fermezza di affidarsi a Dio e a trasmettere
ai giovani tale fede
( l’esempio è nella kenosis del Dio che si fa uomo per ricordarci la nostra natura
divina).
Dinnanzi a famiglie che tendono sempre più a
delegare alla scuola l’educazione dei propri figli, ecco oggi l’enorme
l’importanza dell’educatore, ma è dalla famiglia che dovrebbe partire la semina
educativa. Nel capitolo ‘Quale famiglia’ è colta l’illusione
moderna del sistema egoistico, passionale e interessato di coppia che ha
sostituito quello tradizionale, disinteressato e progettuale di famiglia. La
presenza e la relazione coi propri figli è fondamentale per la loro maturazione
etica.
La persona dell’altro è mistero, e per
incontrarlo è necessaria umiltà, mitezza e fraternità . Il processo educativo
si coniuga quindi attraverso l’Amore (un amore che neanche Dio può imporre) nell’incontro con l’altro, che implica e
necessita l’avvicinamento all’Altro.
Eduardo Ciampi