da www.testatadangolo.it
Per approfondire ancora il tema della parola e del linguaggio ed
avviare una riflessione più ampia sull’arte e sulla necessità di una sua
ricostruzione o meglio resurrezione, su gentile concessione del
“Corriere metapolitico”, pubblichiamo, volentieri, ampi stralci della
traduzione italiana di Letizia Fabro del “Manifesto controletterario” di Alain Santacreu. In questo interessante testo, di un autore contemporaneo francese, troviamo alcuni importanti elementi che definiremmo anagogici, utili alla ricerca di un percorso teso alla rinascita dell’arte.
Dalla “perdita del centro” e dalla “morte della luce”, ci dibattiamo,
da più di due secoli, in un’ arte che, in quasi tutte le sue
espressioni, oscilla tra un iper-realismo positivista, ridotto a puro
letteralismo, ed un astrattismo idealistico, psicoanaliticamente, volti a
sezionare e sfigurare l’immagine stessa dell’uomo e del creato.
Entrambi costituiscono ormai una gabbia di schemi solo apparentemente
trasgressivi, ma in realtà vincolanti ad un “politicamente corretto
dell’arte”. Un relativismo ed un nichilismo,ripetitivi e
autoreferenziali, che non riescono più ne’ a stupire, ne’ tantomeno a
trovare nuove strade percorribili. Alain Santacreu individua, per lo
scrittore, una “porta stretta”, valida secondo noi, anche per ogni altra
espressione artistica.
Il termine “contro” non sta qui a significare una avversione o la
proposizione di una ennesima avanguardia post moderna, bensì
quell’elemento incommensurabile che si può cogliere e accogliere, come
un riverbero nello specchio dell’anima dell’artista, solo guardando le
cose dall’alto e in contro luce, in quello spazio
simbolico non misurabile dove l’Altro si svela e si vela. Se questa
porta stretta è un passaggio possibile per la lettera e la parola
scritta, lo è a maggior ragione per il teatro, per la musica, la danza e
per tutte le arti figurative. L’alternativa, al non senso
contemporaneo, non può ridursi all’ accontentarsi di un tradizionalismo,
museale ed archeologico, elitario e privo di vita, nel quale, di tanto
in tanto, tentare di evadere. Se il linguaggio odierno corrompe e si
decompone, la soluzione non consiste nel tornare a parlare lingue morte e
sepolte, nel creare a tavolino improbabili esperanti multiculturali o
ancor peggio sperare messianicamente nelle nuove tecnologie
comunicative, bensì nell’ascoltare, nel fare silenzio e dare spazio alla
fonte originaria di ogni linguaggio: quel Verbo primigenio e creatore
che può far rifiorire il legno secco.
da “ Il Manifesto controletterario” di Alain Santacreu:
“La Controletteratura
fu sempre risolutamente moderna – nel senso rimbaudiano del termine-,
vale a dire in anticipo non solo sul suo tempo, ma sul tempo stesso. […]
Essa è una resistenza al pensiero lineare, una certa idea di
scrittura. Per la controletteratura, il romanzo è una sfera. Partire,
lanciarsi all’avventura, rendere vive le parole; essere, rimembrare
qualcosa non ancora avvenuta; scrivere, ricordare ciò che deve
necessariamente sopraggiungere – in quanto la scrittura è conversione,
capovolgimento, rovesciamento: trasmutazione della linearità in
sfericità.
Quel desiderio di scrivere anteriore al desiderio
Questa scrittura trasfiguratrice è opera dell’uomo su se stesso
intanto ch’egli supera il suo stato presente, lo intaglia – ch’egli
entra in veggenza iniziandosi alle sublimi piaghe di un eterno
ricominciamento. La controletteratura proviene da quel desiderio di
scrivere che anticipa il desiderio. E’ una gnosi lirica, altro dire non
posso – poiché non si deve dire tutto. Ogni lingua possiede il
profumo particolare di quella nostalgia nella quale si origina la
scrittura – Hӧldering, in tedesco così puro che ne diviene per sempre
irrespirabile; e l’aroma così provenzale dell’italiano di Dante,
l’inglese focoso di William Butler Yeats. Tutte queste parole, che
provengono dall’effusione nostalgica dell’animo, sono gl’invisibili
ancoraggi delle scritture controletterarie, le cui orifiamme non si
lasciano leggere che in certo stato di quiete della mente. Perché la
controletteratura è la reazione del linguaggio contro l’entropia
letteraria, una resistenza intima delle parole per preservare la lingua,
impedire che trasgredisca i confini nihilisti al di là dei quali il
ricordo dell’essere si smarrisce.
L’unico sentiero amoroso
Scrivere è limare le parole. […].La reazione controletteraria
s’avanza per sentieri traversi, obliquità ultime del ritorno alla vita –
ritorni sconsolati, sviamenti ultimi, iniziatici, verso l’unico
sentiero amoroso, deliziosamente imporporato, del vivente semiologico. Perché la controletteratura annunzia […] l’irruzione dell’eternità nella storia, il tempo della “iero-storia”, - secondo lo straordinario neologismo di Henry Corbin.[…]
Tra il dio nascosto del mondo e il mondo dell’uomo
Scrivere è fantasticare, ma non è sognare – perché nel
fantasticare lo spirito è presente, e il fantasticare è lo stile del
sogno. Si tratta di fare in modo che la parola si commuova della sua
propria immagine interiore: così concepita, la scrittura si avvicina
alla preghiera. La funzione delle parole è femminile, ambivalente
– le parole sono simboli; e la catena dei significanti può alienare
l’uomo o liberarlo. Esiste una logica fantomatica della lingua
capace di riflettersi ora nelle tenebre automatiche dell’incoscienza,
ora nella luce spirituale della sovracoscienza. Le parole posseggono una
loro propria dinamica che si dispiega e si sviluppa in virtù
dell’energia ad esse inerente. Di fronte a questa trascendenza della
lingua, l’eroismo della scrittura consiste nello scoprire il luogo
stesso dell’apprensione della lingua – luogo unico e verginale dove si lascia catturare il liocorno leggendario .Perché
tra l’intellegibile e il sensibile, vale a dire tra il dio nascosto del
mondo e il mondo dell’uomo, risiede la realtà utopica della scrittura,
la dimensione sacra dell’inter-detto, la corporeità dello spirito che è
la dimora della presenza divina nel nostro mondo: la “Sophia” della
gnosi cristiana, la “Shekhina” dei cabalisti ebraici, la “Fitra”
dell’Islam interiore. Questo luogo della meditazione, ai margini del
silenzio, è quello delle rivelazioni e delle trasfigurazioni, lo
spazio vuoto in cui avviene la scrittura eternamente femminea il cui
atto archetipico è la rimembranza del corpo di Osiride da parte di
Iside. Qui lo scrittore vede attraverso lo sguardo dell’anima del mondo.
Nella letteratura, il centro della persona dello scrittore è rilegato
nell’incoscienza. Al contrario, dalla controletteratura lo scrittore
viene proiettato in una sovracoscienza scritturale, traduttrice
dell’invisibile nel visibile. Questa medianità controletteraria è una
mistica dell’uomo vero. Lo stile è l’impensato della letteratura. E’ una
capacità spirituale donata allo scrittore: il carisma della propria
solitudine .Ma allora, quale solitudine per il lettore e quale stile di
lettura? E questo semplice quesito: come potrebbero due solitudini
incontrarsi, amarsi? La letteratura ha annientato se stessa nella
negazione dello stile, mentre la controletteratura rimaneva sempre
nell’interstizio delle solitudini, in quel luogo d’amore ove s’eterna il
desiderio degli amanti – perché l’intimità non può nascere che nella
distanza. Il principio della controletteratura desiderante non è il
piacere: lo stile è per lei un fine in sé, la porta del regno. La
certezza dello stile rende vane le esitazioni romantiche tra prosa e
poesia che infiorano il discorso della critica letteraria.
Il campo di trasformazione infinita
Lo stile, l’atto controletterario stesso, è il solo trasformatore
del testo considerato come il campo di trasformazione infinita di una
frase unica. La modernità si è edificata sul rifiuto di pensare ciò che la eccede.
La funzione della letteratura sarà stata quella di annullare ogni via
amorosa della lingua, inafferrabile e insensata ai suoi occhi. Eppure, è
ad una lettura anagrammatica che chiama il testo controletterario;
lettura inaudita, che provoca l’insorgenza del Nome nuovo. Solo un
lettore zelante saprà leggere la scrittura eretica, eccezionale, questa
lingua solitaria, sgorgata dal cuore del Verbo, questo contro-canto
trovadorico. Tanto quanto insurrezionale, la controletteratura sarà
quindi resurrezionale, facendo opera di vita di ciò che, per la
letteratura, altro non è che lettera morta. Ciò che non rientra in campo letterario, l’alterità controletteraria, giammai sarà la lingua del padrone e dello schiavo. Essa è scrittura della risurrezione della parte respinta, alienata e quasi abolita del nostro essere: un’ultima eleganza d’essere, una certa bellezza dopotutto.”
Traduzione dal francese di Letizia Fabbro (Alain Santacreu, Le Manifeste contrelittéraire, 1999 )