martedì 20 giugno 2017

Perché fare teatro "anagogico" ?


A tutti gli illusi, a quelli che parlano al vento.
Ai pazzi per amore, ai visionari,
a coloro che darebbero la vita per realizzare un sogno.
Ai reietti, ai respinti, agli esclusi.
Ai folli veri o presunti.
Agli uomini di cuore,
[… ]
A chi dopo aver combattuto e perso per i propri ideali, ancora si sente invincibile 
A chi non ha paura di dire quello che pensa.
[… ]
A tutti i cavalieri erranti.
In qualche modo, forse è giusto e ci sta bene… a tutti i teatranti.  
Miguel de Cervantes, Don Chisciotte


Perché fate teatro anagogico? Ci è stato detto: “Non è meglio fare un corso base per principianti? Non è meglio scegliere testi allegri, meno impegnativi, ed usare il teatro per divertirsi e dimenticare così tutte le brutture del mondo?”

Il teatro anagogico nasce dal mio incontro con Eduardo Ciampi, Claudio C. Belinfanti, Antonino Anzaldi e l’associazione Anagogia.

Conducevo laboratori di teatro terapia, mentre Eduardo, appassionato studioso di Shakespeare, aveva già pubblicato alcuni saggi su una lettura “altra” del grande bardo. Ci siamo incontrati tutti più volte, dialogando sui temi del teatro e su la possibilità di una lettura anagogica (ovvero del sovrasenso) dei testi classici. Trovammo subito un punto comune, una linea di confine dove le nostre ricerche e competenze si incontravano e potevano collaborare: la dimensione simbolica, la parola agita e percepita come simbolo.
Così partimmo, il primo anno lavorando sull' Amleto di Shakespeare. In seguito anche su La tempesta. Nel corso di questi tre anni le due discipline sono andate sempre più integrandosi fino a dare vita a quello che, presuntuosamente, abbiamo chiamato “Teatro Anagogico” e che è tuttora in continua evoluzione.

"Vieni siediti, non ti agitare. Non te ne andrai finché non ti avrò messo
davanti allo specchio in cui guardare la parte più intima di te stesso." 
Amleto Atto III

Uno degli assunti di base del Teatro Anagogico, sta nel riconoscere l'essere umano come perfettamente dotato, ontologicamente dotato. Dotato cioè delle qualità necessarie per guardare ai problemi quotidiani-filosofici-esistenziali come segni sempre significanti e sananti, oltre il non senso della sconfitta e dell’inadeguatezza. Dotato della capacità di trovare in sé le risposte. Capace di utilizzare lo sguardo dell’altro per rispecchiarsi in profondità. L’uomo come animale simbolico e relazionale oltre che razionale.

Chi voglia distrarsi non manca di mezzi oggi. Per girare il capo  e distogliere lo sguardo dalla realtà, bastano i social, il Web, i media, i videogiochi, le relazioni interpersonali reificanti, fino alle droghe. Riproporre un ennesimo divertimento non ci sembrava utile. E’ alla portata di tutti sapere che la fuga (o parentesi temporanea) non ha l’efficacia per modificare quella realtà che così poco ci piace.

Sebbene sia più edificante “dipendere dal teatro” che da qualcosa d' altro, questa via non risponde al nostro desiderio di acquisire consapevolezza delle proprie qualità e risorse.

Anagogicamente si potrebbe assaporare la consapevolezza di un destino o di una chiamata ulteriore, oltre il visibile e il temporale.

La via dell’arte come divertimento e distrazione non soddisfa il nostro desiderio di orientare e spendere i talenti nel quotidiano, né il nostro desiderio di restituire senso. Se proponessimo l’ennesima attività di divago forse i numeri dei frequentanti aumenterebbero. Se spacciassimo un ennesima “droga”, sia pure lecita e gratificante, sarebbe forse un bel business teso a perpetrare quella condizione di dipendenza che tanto ci fa odiare la vita e ci fa desiderare di voltare continuamente la testa e di nuovo distrarci.

Si percepisce una qualche esagerazione, un sentore di paradosso in tutto ciò? Spero ardentemente di sì!
Quest'esperienza è aperta a chi lo percepisce, a chi sa che non esageriamo perché ha già vissuto l’esperienza di affaticarsi inutilmente per abbattere delle sbarre erigendone di  nuove. A chi ha avuto il sentore o la consapevolezza che la via d'uscita non ci arriva dall'esterno né ci viene tanto meno regalata. La via d'uscita è data dal riappropriarsi di sé, dal trovare in sé qualità, energie, soluzioni, risposte.

A noi piace che questo teatro offra questa opportunità  a coloro che vi si avvicinano. Ci piace che si incontrino ed escano dalla solitudine scoprendo che ci sono altri che hanno  la stessa percezione, la stessa intuizione… Restando nel nostro ambiente abituale e abitudinario non sempre incontriamo chi possa rispecchiarci e rispecchiarsi. Alla fine  quasi, quasi ci convinciamo di essere un po’ matti e soli.  

IL TEATRO  -  MISTERO  e  GIOCO  -  mystery plays
Nel medioevo inglese le rappresentazioni sacre che diedero poi vita al teatro moderno erano definite "mystery plays", e il termine mystery, è inteso sia come "mistero" che "ministero" e fu poi riferito ai mestieri stessi delle confraternite o corporazioni che organizzavano gli spettacoli . 
Nella lingua inglese tale riferimento non compare più, ma l’italiano ed il francese hanno conservato tale senso con le parole ‘mestiere’ e ‘métier’.  Mentre play indica sia il giocare che il rappresentare.
GIOCANDO   CONOSCIAMO -  CONOSCENDO RICREIAMO  -  RICREANDOCI  SIAMO


Qui la dimensione ricreativa non è legata al divertimento, ma al gioco, a quel gioco dal vivo di quando da piccoli si diceva: "facciamo che io ero e tu eri…"
Quel gioco che per quanto fantasioso si poneva come metafora del vivere, dunque ci insegnava qualcosa su noi stessi in relazione con gli altri, e sul vivere.
Ecco perché in questo teatro che a noi piace, si ride e si scherza: perché anziché divertirsi, si gioca. A noi piace che il teatro abbia questa funzione, quella sua originaria: raccontare e raccogliere storie dell'anima,che scuotano e riscattino l'anima.

Cinzia Arces


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